È stata rivelata nel corso dell’inaugurazione di Cibus, l’annuale classifica dei marchi alimentari più forti del mondo stilata da Brand Finance. I risultati non sono però dei più incoraggianti per l’Italia. Se infatti il cibo nostrano è tra i più amati dai consumatori a livello internazionale, le aziende italiane sono fuori dalla top ten dei brand con maggiore valore.
A comandare la classifica del food è l’americana Nestlé, seguita dalla cinese Yili leader nella produzione lattiero casearia. Terzo posto per Danone che ha guadagnato posizioni rispetto allo scorso anno grazie a un incremento del 5%. Il resto della top ten vede la presenza di altri marchi americani, cinesi e svizzeri.
E l’Italia allora dov’è? Per incontrare il primo brand made in Italy dobbiamo scorrere fino alle 13° posizione, dove si piazza Barilla, forte di un incremento del 20%. Non è andata altrettanto bene per Kinder, che rispetto all’ultimo anno è sceso dalla 15° alla 19° posizione. Salgono invece Ferrero Rocher (dal 23° al 21° posto) e Nutella che ha guadagnato ben dieci posizioni e ora è saldamente ancorato al 39° posto. Consola però sapere che i tre marchi insieme portano il gruppo Ferrero a possedere l’8° portfolio di brand food mondiale.
L’America domina anche la classifica del drink grazie al colosso Coca-Cola e non si fa sfuggire neanche il secondo gradino del podio con Pepsi. L'austriaca Red Bull è invece terza. Italia fuori dalla top ten anche in questo caso, dato che Lavazza si posiziona al 14° posto e Sanpellegrino al 22°.
Massimo Pizzo, managing director Italia di Brand Finance, ha commentato i dati affermando che i piazzamenti dell’Italia non sono abbastanza soddisfacenti. Per Pizzo i brand made in Italy hanno però grandi potenzialità per aumentare le esportazioni e contrastare i falsi prodotti italiani venduti all’estero: «Spesso accade che il consumatore estero sia ben cosciente di acquistare un prodotto non originale, come per esempio il Parmesan americano, ma lo acquista perché non percepisce la differenza e quindi il valore. Questa situazione di mercato indica che ci sono ampi margini di miglioramento delle esportazioni italiane, ma è necessario fare in modo che i consumatori siano attratti dai prodotti realmente italiani riconoscendone l’unicità». La soluzione, sempre secondo Pizzo, sarebbe dunque di investire sul rafforzamento e sulla riconoscibilità delle proprie marche, oltre che sulla qualità del prodotto.
Fonte: Il Sole 24 Ore
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